La menzogna nucleare

Chiesa Giulietto, Cosenza Guido, Sertorio Luigi
La menzogna nucleare. Perché tornare all’energia atomica sarebbe gravemente rischioso e completamente inutile
2010, Editore Ponte alle Grazie

Una vera e propria Chernobyl del denaro, che ci ha messo di fronte alla sconsolante situazione di scoprire di essere stati in balia di persone il cui livello intellettuale e morale era incommensurabilmente inferiore alle responsabilità di cui erano state investite o che, per meglio dire, si erano autocraticamente assegnate.

Guardandoci attorno con occhi disincantati dove troviamo leadership politiche capaci di ragionare “sulla scala storica”?

[…] ogni progetto che puntasse sul nucleare per rimpiazzare i combustibili fossili e impedire così il riscaldamento globale è totalmente irrealistico.

Se dobbiamo credere all’allarme lanciato da segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon di fronte all’assemblea generale del settembre 2009: “Abbiamo meno di dieci anni per evitare gli scenari peggiori.”

La società globale è giunta a una dimensione produttiva gigantesca, originata dalla spinta a una espansione programmata nella misura di una percentuale (la più alta possibile) dell’ampiezza raggiunta (PIL). Ne scaturisce un ritmo espansivo esponenziale, cioè una crescita demenziale.

Nessun privato intende permettersi il lusso di violare il mercato. Lo Stato può fare temporaneamente, e lo fa impunemente, in quanto accolla le perdite ai cittadini. C’è da chiedersi perché lo faccia.

[in riferimento al problema delle scorie radioattive] Il valore che si ottiene per il tempo di stoccaggio […] è compreso tra 300.000 e 1.000.000 di anni. Va precisato che in media un reattore nucleare produce 25 tonnellate l’anno di scorie radioattive.

In definitiva si presenta l’opportunità di utilizzare il tempo che ci è ancora concesso dalle residue riserve (da utilizzare il più parsimoniosamente possibile) per pianificare una attenuazione dell’espansione e la graduale diminuzione del volume dei consumi sociali e individuali.

[…] appare assai poco probabile che il programma italiano meditato sui prossimi cinquant’anni possa produrre ricchezza. Appare piuttosto assai probabile che tale programma generi povertà. Quasi certamente produrrà interessanti guadagni alle corporazioni industriali che ci venderanno i loro prodotti brevettati [in tendendo legati alla produzione nucleare: tecnologia, uranio, ecc.].

Dal punto di vista puramente economico il programma nucleare italiano implica un asservimento crescente alla dinamica di Paesi stranieri. Dipendenza economica che ovviamente implica dipendenza politica. Questo tipo di asservimento è notorio: la Russia per il gas naturale, l’America per la ben più complessa rete di rifornimento dell’uranio Dipendere da padroni conflittuali è un male assoluto perché implica equilibrismi multipli e paralisi della progettualità interna alla nostra nazione. Esistono veramente benefici strabilianti tali da giustificare il volontario sottoporsi a crescenti asservimenti? Chi parla di nucleare si rende conto di tali implicazioni?.

I concetti di energia, potenza trasformazioni chimiche e nucleari, dinamica dei flussi di potenza che esiste in natura e quella che è realizzata negli artefatti tecnologici sono difficili, e giocarsi su con lo strumenti della semplificazione è un errore micidiale.

Il grande insieme tecnologico funziona in un modo che sfugge alla comprensione del singolo. L’immagine rinascimentale dell’uomo dal sapere universale, nella società tecnologica, non c’è più.

La fisica nucleare è affascinante per il fisico, mentre è argomento arcano per le persone di formazione umanistica, ed è terreno totalmente ignoto agli uomini che per professione si dedicano alla politica.

La scienza contemporanea si sta aprendo verso quegli orizzonti della conoscenza che inducono all’umiltà verso l’ignoto. L’arroganza che fa credere l’uomo onnipotente e immortale è proprio la cosa più stupida che possa essere proposta al tempo presente, in cui le sciagure dello sviluppo illimitato sono sempre più evidenti.

Sembra di assistere a una gare tra cecità e irresponsabilità […] non ci aiuta a capire che di fronte a noi tutti stanno compiti immani di riorganizzazione sociale e industriale.

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